Protagonista indiscussa degli scatti che Claudio Dell’Osa propone in questa mostra è la luce. Oggetti di uso quotidiano e prodotti tipici della nostra terra, accostati con sapiente equilibrio, emergono da sfondi caraveggeschi, monòcromi e scurissimi, illuminati da squarci di luce che ne fanno risaltare la purezza delle linee e la vivacità cromatica. Nelle atmosfere sospese e rarefatte di queste moderne “nature morte”, frutto di un’abile manipolazione di luci ed ombre, riaffioranoeminiscenze di un lontano passato che ci riconducono alle nostre semplici, comuni radici.
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Conosco Claudio Dell’Osa da qualche anno e ho sempre apprezzato il suo lavoro di fotografo, la sua capacità di cogliere gli attimi e renderli protagonisti di racconti poetici.
Quando ho visto però i frutti della sua ultima ricerca, devo dire che sono rimasta particolarmente affascinata e gli ho detto subito: “Con questi devi fare una mostra”!
Stranamente, perché devo ammettere che tra tutti i soggetti artistici, le nature morte (a parte qualche illustre eccezione) sono quelle che amo di meno.
Ma negli scatti di Claudio ho trovato qualcosa di emozionante, quasi magico, innanzitutto nella qualità luministica. Il principio della composizione è simile in tutti gli scatti: lo sfondo scuro di memoria caravaggesca chiude la prospettiva facendo emergere in primo piano gli oggetti posti su una tavola di legno consunta, anch’essa di toni scurissimi appena sfiorati da un raggio di luce.
Ed è proprio questo rapporto dialettico tra luci e ombre all’interno della composizione, che dà un senso e un significato all’immagine, si rapporta con la luce e la trasforma in parola. Non esiste musica senza silenzio ed è anzi proprio grazie alle pause che la composizione acquista il giusto respiro. Allo stesso modo anche l’immagine respira quando esce dall’oscurità senza perdere le ombre che scolpiscono, modellano, incorniciano e ci fanno vedere oggetti che l’esperienza ci dice piatti come tridimensionali. Francis Bacon diceva: “Perché la luce sia splendente, ci deve essere l’oscurità”.
E difatti, osservando da vicino le opere di Dell’Osa si noterà che le forme e i colori sembrano paradossalmente risplendere proprio nel confronto con l’oscurità. Un altro esperimento molto interessante è quello della creazione di una sfera di illunazione attraverso l’utilizzo di una candela accesa, che contribuisce a creare atmosfere fiabesche e incantate.
Chiaramente non è certo un’invenzione di Claudio, altri artisti sia fotografi che anche pittori hanno seguito strade simili, ma l’originalità sta nel sapiente equilibrio con cui Claudio riesce a fare della luce della candela una specie di velo magico che ammorbidisce le linee e i colori senza smorzarne l’intensità deflagrante e a porla in posizioni strategiche che fanno risaltare la trasparenza del vetro di una bottiglia o un bicchiere, la ruvidezza delle terracotte, il bianco dello zucchero che sulla tavola scura e consunta crea quasi un’illusione di piccole gemme.
Un altro aspetto delle opere di Claudio è la composizione. Sul piano concettuale, rappresentare una natura morta ha un significato fortemente innovativo, vuol dire passare dal primitivo rapporto dell’uomo con le cose viste secondo la funzione che l’uomo stesso ha loro convenzionalmente attribuito, subordinandole a sé in quanto oggetti inanimati, ad una considerazione delle cose di per sé stesse portatrici di significati e di valori estetici autonomi. Nella storia dell’arte, in genere, la frutta si carica nel tempo di significati simbolici, divenendo sintesi di vita e morte, di eternità e caducità, sinonimo di abbondanza, allegoria della transitorietà e corruttibilità della bellezza e della vita, temi che verranno rafforzati dall’accostamento con altri oggetti di valenza fortemente allusiva alla morte ed allo scorrere del tempo. Nelle opere di Claudio Dell’Osa gli oggetti sono disposti con meditata casualità secondo una costruzione spaziale soggettiva e abbastanza complessa che, nella ricerca dei volumi e dei contrasti cromatici e luministici, lascia emergere il peso della loro realtà interiore che è, direi, ancestrale.
Ai soggetti tipici del genere, la frutta intera o sbucciata, il bicchiere, la bottiglia ecc. Dell’Osa aggiunge elementi tipici della nostra terra come le “sise delle monache”, le castagne, oggetti tipici del nostro vicino/lontano passato: una bilancia dai colori un po’ sbiaditi, un coltello con un manico di legno consunto dall’uso che richiama la ruvidezza della tavola di legno, una botticella di vino, una tazzina di ceramica che evoca i servizi della nonna, un macinino da caffè.
Questi oggetti, colti in scorci luministici che ne sottolineano la plasticità, contribuiscono a creare un’atmosfera rarefatta che evoca un tempo ormai andato in un sentimento di nostalgia in cui il fruitore può immergersi senza strappi e urgenze….. le atmosfere di Dell’Osa sono infatti morbidamente pacate, un richiamo al passato che ci fa venire voglia di riscoprire le nostre radici, che però non si esaurisce in un malinconico compiacimento ma dialoga con il presente proprio attraverso il dinamismo cromatico, quei colori così accesi e plastici che ci riconducono al dinamismo della vita con le sue passioni.
Le opere di Claudio Dell’Osa confermano quello che penso da sempre: “quando l’idea sincera e la sensibilità incontrano la perizia tecnica, allora nasce l’arte”.
Meri Concetta Leone